Anna Lombroso per il Simplicissimus
Basta un improvviso folgorante raggio di sole che illumina i mosaici, che lo segui camminando per le calli, perché per non perdersi basta camminare nella penombra dei muri alti finché si arriva a vedere il cielo aperto che si schiude come una liberazione dal labirinto, basta un tramonto barocco che si spera che la città non si arrenda a quel sordo strisciante disprezzo di sé, a quella perdita di valore, a quella specie di suicidio morale, indubbiamente istigato, fatto dell’aberrazione della globalizzazione: animali di vetro di Taiwan, maschere dell’Indiana, merletti pachistani.
C’è da temere che Venezia possa diventare il laboratorio del risentimento per aver rimosso la propria storia, del veleno che si insinua come una sorta di nichilismo mascherato dal disincanto sapiente, dal cinismo sostenuto dal più inconfessabile degli istinti: il tradimento dei noi stessi, dei nostri sogni e delle nostre memorie, l’acquiescenza scettica alla…
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